Intervista a Enrico Maltoni
di Simone Forgia, Claudio SantoroCiao Enrico, il tuo nome sicuramente ti precede nel mondo del caffè, ancor di più quando si parla di macchine da espresso storiche ma ti andrebbe di dirci comunque brevemente qualcosa di te, chi sei e da dove vieni?
Sono nato a Forlimpopoli, città di Pellegrino Artusi, e ho frequentato la scuola alberghiera, quindi un legame con cibo e gusto erano già nell’aria. A 14 anni, durante le vacanze scolastiche, lavoravo presso un bar e pasticceria dove ho iniziato a conoscere le macchine per il caffè, grazie a una Faema E61, una delle più longeve nella storia delle macchine da bar italiane. Funzionava a gas e ogni mattina, alle 5, l’accendevo con un fiammifero, spesso scottandomi le dita. Poi, provenendo da una famiglia di appassionati di antiquariato, mi è stata trasmessa la passione per la storia del '900.
Come è nata la tua passione per le macchine d’epoca? È stato un colpo di fulmine oppure qualcosa che è partito in sordina per poi esplodere?
Quando ho iniziato a collezionare macchine da bar, nel 1988, nel mondo eravamo pochissimi, due o tre, e io, coi miei 18 anni, sicuramente il più giovane. Tutto è iniziato con un primo acquisto al mercato antiquario di Arezzo, inizialmente solo per la bellezza estetica, il design. Allora ancora non avevo sviluppato l’interesse per la tecnica, la meccanica, la storia, la cultura e il fascino incredibile che possiedono questi strumenti. L’evoluzione tecnica ed estetica è andata di pari passo con le innovazioni tecniche e artistiche, realizzando vere e proprie sculture che hanno ripreso le linee dettate dallo stile Liberty, l’Art Déco e poi del design industriale sviluppatosi dagli anni '60 e '70 trovando in Italia le sue maggiori espressioni.
Cosa avresti voluto fare da grande? E attualmente?
Da adolescente pensavo che avrei fatto il fornaio o il pasticcere, poi invece mi sono avvicinato al settore della moda, iniziando come commesso in un negozio di abbigliamento maschile che dettava lo stile in quegli anni, e dove ho lavorato per 10 anni, fino a diventare direttore del punto vendita.
Dal 1999 il collezionismo e la ricerca storica – e da qualche anno anche l’officina di restauro – sono diventati il mio lavoro a tempo pieno, insieme alla scrittura di libri sempre sul tema delle macchine per caffè, sia da bar, sia per uso domestico.
"Espresso made in Italy" la collezione che dà anche il titolo al mio primo libro, è stata al centro del progetto di 44 mostre che fino al 2011 hanno toccato 14 paesi in 3 continenti, ottenendo ampi consensi e portando, per la prima volta, le macchine espresso da bar dentro ai musei, contribuendo a divulgare la cultura del caffè espresso e il made in Italy.
Nella tua rinomata officina restaurate davvero molti tipi di macchine per espresso d'epoca; personalmente ti piacciono di più quelle a leva o quelle a pompa? Puoi spiegarne il motivo?
Nella mia Officina Maltoni, a San Leo in provincia di Rimini, nella verde Val Marecchia, mi piace restaurare i modelli a leva, per queste macchine gli anni '50 sono stati fantastici! L’ho aperta nel 2013 (quindi festeggiamo già i 10 anni), insieme a Matteo, a cui si è ora aggiunto Blady, meccanico specializzato albanese molto competente e con i consigli di Alberto, tecnico specializzato che su molte di quelle macchine curava l’assistenza e che ci ha trasmesso la sua esperienza. Siamo ora completamente attrezzati (anche con attrezzature d’epoca) per effettuare i restauri di tutte le macchine, dal 1900 al 1960 e ogni giorno affrontiamo nuove sfide, perché fare un restauro completo, che restituisca una effettiva funzionalità alle macchine da bar richiede molto impegno, significa dover spesso ricostruire parti e ricambi introvabili; abbiamo anche imparato a rifare le resistenze elettriche, acquisendo attrezzature da una azienda che ha chiuso di recente. Per le lavorazioni particolari, come cromature e lavori in plexiglas abbiamo nel tempo selezionato partner di qualità assoluta che ci seguono con passione anche nelle imprese più ardue.
Se dovessimo chiederti quali sono le 3 macchine a leva più belle di tutti i tempi, cosa risponderesti? Sai spiegarci cosa ci trovi di così interessante?
Risposta molto difficile. Inizierei citando La Pavoni, lungimirante storica azienda, che nel 1956, insieme alle riviste "Domus", "Casabella" e "Stile Industria", inventa un concorso per la progettazione di una macchina da caffè. Vincono il premio i designer Bruno Munari ed Enzo Mari, con il modello Concorso, in seguito soprannominato Diamante per la forma sfaccettata degli elementi componibili della carrozzeria in lamierino stampato, la cui modularità (tema progettuale caro a entrambi i designer) consentiva di mutare le combinazioni di colore e di usare un numero diverso degli stessi elementi a seconda delle differenti lunghezze delle macchine.
La Pavoni Diamante - modello Concorso
La seconda macchina a leva senza dubbio è il modello di La San Marco, battezzato “Lollobrigida” per le sue curve sinuose e forme accattivanti, che proprio per queste caratteristiche, uniche e inconfondibili, venne dedicato alla famosa attrice Gina Lollobrigida. Oggi è uno dei modelli più ricercati dai collezionisti di tutto il mondo.
La San Marco Lollobrigida
Poi, sicuramente un modello significativo e molto imponente è la Faema modello Saturno a 3 gruppi. È di grandi dimensioni, equipaggiata con due caldaie che la rendevano in grado di coprire le esigenze di consumi importanti, come quello dei bar delle stazioni ferroviarie o dei caffè dei centri storici. Realizzata in bronzo e ottone, cromata, ha il peso notevole di oltre 120 kg. Probabilmente esemplare unico al mondo a tre gruppi, prodotta in serie limitata per i costi eccessivi di produzione, costava nel 1950 la somma di 670'000 lire, (oltre 12'500 € attuali), per rendere l’idea, un caffè costava 30 lire e una 600 berlina 652'750 lire.
Faema Saturno 3 gruppi al Mumac
C’è una leva che quando la usi ti emoziona più di tutte quante anche se teoricamente meno importante di altre?
Devo dire che ho avuto la fortuna di restaurare e provare tutte le marche di macchine per caffè a leva. Sicuramente la più resistente all’usura, grazie ad una incredibile qualità di materiali è la Gaggia modello Classica, che nella prima serie, del 1948, non aveva il blocco per la pre-infusione, inserito successivamente portando un notevole miglioramento. Ritengo sia la migliore "leva" del 1950, anche se non da meno sono La San Marco e Faema, La Cimbali, La Pavoni.
A valle della tua esperienza di compra-vendita e restauro di macchine, cosa sono le prime cose che guardi quando vuoi capire in che stato è messa una macchina? Ci sono degli indicatori particolari o dettagli che fanno la differenza?
Di solito la prima cosa che cerco di fare è aprire la parte superiore della carrozzeria, per vedere la parte interna della caldaia, da cui si comprende bene lo stato di conservazione, la vita, il lavoro svolto. Poi verifico che non manchino parti esterne molto importanti. Devo dire che grazie al mio archivio cartaceo di 25’000 documenti, ora parte del Museo Mumac, riesco sempre a verificare come doveva essere la parte estetica, inoltre la documentazione tecnica mi aiuta a ricostruire eventuali parti esterne, mancanti o deteriorate, come le parti in plexiglas.
Dall’apertura dell’officina e dall’assunzione di nuovi collaboratori, come è cambiato il tuo lavoro? Sai anche dirci quante macchine restaurate all’incirca in un anno?
Avevo già vissuto in precedenza l’esperienza con una officina esterna, quando dal 1988 al 2000 ho collaborato con Vittorio Bandini, mio maestro, che aveva una grande esperienza sulle macchine a leva, avendo lavorato nella Officina Faema alla fine degli anni cinquanta. Restauravo tutte le prime macchine della mia collezione presso la sua officina, dove ho imparato molto su questo tipo di lavoro. Dalla apertura della mia officina, nel 2013, grazie a Matteo, abbiamo creato un processo molto organizzato per cui riusciamo a restaurare circa 7-8 macchine al mese, per un totale di circa 90 all’anno.
Enrico Maltoni nella sua officina con una Faema President, una Gaggia Esportazione a sinistra e una Victoria Arduino Tipo Extra a vapore a destra
Da un punto di vista costruttivo, ci sono delle caratteristiche e differenze che più ti colpiscono tra un produttore ed un altro? Per esempio, cosa più ammiri internamente in una Gaggia rispetto una Faema, Pavoni, Cimbali, San Marco o altro?
Sicuramente i marchi più importanti citati, come Gaggia, La Pavoni, Faema, La San Marco, hanno sempre avuto la possibilità di mantenere la qualità costante e farsi riconoscere un giusto prezzo, essendo già nella metà degli anni ‘50 piccole e medie industrie, che garantivano anche un servizio di assistenza.
Marchi minori, anche interessanti, per le piccole dimensioni e quindi la difficoltà ad affrontare investimenti importanti per crescere, non hanno retto la concorrenza e hanno chiuso la loro produzione, tanto per citarne alcuni: Cambi, Carpineti, Eterna, Mondial, Eureka, Universal, La Veloce Gatti, American.
Come vedi l’attuale mercato delle macchine da espresso sia domestiche che professionali? Pensi si stiano evolvendo bene oppure avresti preferito che prendessero o mantenessero una strada diversa?
Sono felice dello sviluppo delle macchine per uso domestico, sia di fascia media sia di fascia alta; ora si può dire che producono un espresso "come al bar", l’unico problema è il costo ancora molto elevato, ma credo che col tempo si arriverà ad un prezzo più abbordabile per quanto riguarda il sistema tradizionale.
Le super-automatiche non le amo molto, ma devo ammettere che hanno avuto una evoluzione incredibile, e hanno permesso di occupare una buona quota nel mercato del macinato fresco, per me fondamentale per un caffè buono, giusto e sostenibile.
Il mondo delle capsule, invece, non lo considero, poiché trovo sia una soluzione molto grave sia per l’inquinamento che producono le capsule non correttamente smaltite, sia per la bassa qualità dei sistemi che hanno di fatto reso, in breve tempo, le macchinette oggetti "usa e getta".
Ci sono delle soluzioni tecniche che hai visto implementare in macchine del passato che poi sono state abbandonate ma che secondo te erano interessanti e vorresti rivedere su macchine moderne?
Su questa domanda non ho una risposta, che forse richiederebbe una analisi e valutazione a parte.
Com'è la richiesta di macchine vintage restaurate per l’esercizio in bar? È aumentata negli ultimi anni? E dopo il tuo incontro con James Hoffman?
Dal 2013 la richiesta è in costante aumento, per dare una idea, nel 2022 abbiamo avuto una crescita del 33%.
Ci sono 5 importanti collezionisti con cui intratteniamo da tempo un rapporto diretto di consulenza e fornitura. In media hanno collezioni di oltre 200 pezzi a testa, consideriamo che sono raccolte iniziate dopo il 2010.
Abbiamo clienti affezionati a cui spediamo ogni anno un container di macchine restaurate. Sicuramente nasceranno altri musei e collezioni nel mondo, perché questo è un settore molto amato, che ha risvegliato grande interesse, specialmente nei giovani.
L’uso operativo nei bar, nonostante l’interesse per la bellezza delle macchine, che apportano un contributo allo stile dei locali, si scontra con normative che impediscono l’uso di macchine vintage per la somministrazione. Questo non impedisce che vengano utilizzate come elemento scenografico, anche in case private.
Beh, il fatto che il mio amico James Hoffman abbia fatto visita all’officina per scegliere la Faema modello President prima serie, di cui ho poi curato la consegna e installazione presso il suo Prufrock Coffee a Londra, e abbia raccontato ampiamente questa scelta, ha stimolato le richieste soprattutto da Cina e USA. In Cina, ad esempio, nel mese di aprile abbiamo consegnato ben 10 macchine restaurate.
Quali sono i paesi da cui hai il maggior numero di clienti che acquistano i tuoi pezzi da collezione?
In questo momento la Cina, Taiwan, Korea, Australia, Stati Uniti, mentre in Europa i mercati più attivi sono Germania e Olanda. Un grande cambiamento da quando ho iniziato vendendo solo in Europa.
Che tipo di caffè ti piace consumare e, domanda da 1'000'000 di dollari: che macchina/e usi quotidianamente nelle mura domestiche?
Per il caffè sono molto fortunato, grazie alla mia amica Alice mi sono iscritto al Mirabilia Specialty Coffee Box e ricevo ogni mese due pacchetti da 250 grammi di caffè, selezionati tra quelli dei migliori micro torrefattori. Mi piace molto bere bene caffè di qualità.
Avendo sempre macchine a leva in officina, nella cucina di casa mia ho una Faemina di ultima produzione, devo dire di incredibile qualità e prestazioni. Poi diversifico con vari sistemi domestici a filtro e percolazione, in particolare amo la napoletana.
Qualche anno fa, quando ti facemmo visita al Mumac, ci confessasti che un altro tuo interesse sono gli orologi. Puoi dirci qualcosa di più? Cosa trovi in comune tra macchine da espresso ed orologi? Ti trasmettono le stesse emozioni?
Ho da sempre la passione per gli orologi, anche se non ho una grande collezione; e trovo abbiano una somiglianza interessante con i manometri di pressione dei modelli del primo '900, che hanno una grafica meravigliosa, a volte fatta a mano: vere opere d’arte.
Riguardo il Mumac, è proprio come te lo saresti immaginato oppure ci sono cose che avresti comunque voluto venissero fatte diversamente?
Anche se avrei voluto esporre tutta l’intera collezione, dopo avere approfondito bene nella fase di progettazione cosa significhi fare un museo, sono felice sia stato realizzato così. Insieme alla famiglia Cimbali abbiamo deciso di esporre 100 esemplari e fare una rotazione biennale, che ci permette comunque di presentarne una bella panoramica, avere uno spazio maggiore per creare eventi e mostre collaterali e poter dedicare due zone alla storia del bar, con tutti gli oggetti originali di arredo e accessori.
Museo Mumac a Milano
Se dovessi aprire un tuo vintage bar, come te lo immagineresti e dove lo apriresti?
Me lo immaginerei come il bar del Museo Mumac, anni '50, tutto rigorosamente originale, banco bar Faema, la perfezione e una atmosfera unica nel suo genere.
A noi sembra che ci sia un interesse crescente verso le macchine a leva e vediamo anche sempre più piccoli nuovi produttori, tu come la vedi? Pensi sia solo un fuoco di paglia?
Sì c’è effettivamente una crescita molto importante che alcuni costruttori hanno forse sottovalutato. La San Marco, leader delle macchine a leva nel mondo bar, ha avuto uno sviluppo significativo e sono nate negli ultimi anni, fuori Europa, anche molte aziende nel settore domestico.
Ritieni di avere un buon rapporto con gli altri collezionisti? Vi aiutate a vicenda oppure sei dell’opinione che c’è una tendenza troppo egocentrica?
Come già detto, ho un rapporto ottimo con i cinque più grandi collezionisti del mondo, con cui ho un contatto diretto, direi quotidiano. Solo con un altro collezionista c’è competizione e poca collaborazione, ma come dico sempre a tutti: "non importa la quantità ma la qualità". La mia collezione, insieme al Gruppo Cimbali, include il più grande archivio del mondo, dedicato alle macchine per caffè espresso e la seconda collezione al mondo, per quantità e qualità, di libri antichi, inserita nel Museo Mumac.
Qual è la macchina che hai desiderato di più e che il suo ritrovamento è stato più sofferto? Puoi raccontarci brevemente la sua storia?
La regina della mia collezione è stata disegnata da Gio Ponti nel 1947 modello DP.47 e ne esistono solo due esemplari al mondo, è la più ambita da tutti i collezionisti. Era stata trovata 5 anni fa, e poi rimasta abbandonata, in un hotel dismesso sul litorale di Roma, finché non sono riuscito a recuperarla. Il disegno del modello con le sue linee da “bolide futurista” ha avuto un impatto molto forte, superando i concorrenti. Poi, trattandosi di una macchina di transizione fra il vecchio sistema a vapore e quello con la “crema”, diffusosi dal '48, non ebbe un grande successo di mercato, ma rimane pur sempre la più bella!
La Pavoni DP.47 anche conosciuta come "Cornuta"
Sappiamo che ogni tanto ti capita di prestare i tuoi pezzi da collezione a terzi, quali sono le collaborazioni più prestigiose a cui hai partecipato?
Sono tante, da Expo Milano 2015 al Museo del Caffè di Santos, in Brasile, al Museo della Scienza e Tecnica di Monaco di Baviera in Germania e quando per la prima volta abbiamo esposto al Louvre di Parigi, al Musèe des Arts Décoratifs, una macchina per caffè espresso, è stato un giorno importante alla cui inaugurazione non sono mancato. Poi posso citare con piacere le macchine esposte all’apertura della Starbucks Reserve Roastery a Milano, o quelle prestate per set di film, tra cui ad esempio, quello di "Malena" di Tornatore.
Infine, c'è una domanda che non ti abbiamo posto ma alla quale avresti voluto dare una risposta da te molto sentita?
Quando a 18 anni hai acquistato quella prima macchina da bar, avresti immaginato il percorso che poi hai intrapreso?
Sicuramente non potevo pensare che quella macchina, presa per la sua bellezza, avrebbe dato una svolta così grande alla mia vita, trasformando una passione in una attività che mi coinvolge a 360°. Sono un collezionista e grazie alla famiglia Cimbali sono riuscito a realizzare il sogno di vedere la mia collezione esposta in un museo, sogno che ancora continuo a vivere.
Senza il supporto di una grande azienda non sarei mai riuscito a dar vita ad un progetto così importante sulla cultura della macchina per caffè, che include la storia di tutto quel settore produttivo. Il museo propone tutta l’evoluzione di un intero comparto del made in Italy, sono infatti presenti tutti i costruttori che con i loro prodotti e idee sono stati pietre miliari del settore, in oltre 120 anni di evoluzione.
Insomma, sono grato a quel diciottenne che fece quel primo passo, che permette al me di oggi di continuare questo viaggio fra design, tecnica, storia, bellezza.
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