Intervista a Maurizio Valli
di Simone Forgia, Claudio SantoroMaurizio Valli con un caffè "honey"
Ciao Maurizio, presentati brevemente e spiegaci come ti sei approcciato al mondo del caffè.
Mi chiamo Maurizio Valli, ho 40 anni, sono di Bergamo e ho aperto la mia caffetteria nel 2000. Ho scelto di approfondire il mondo del caffè quando ho realizzato che non sapevo quello che stavo vendendo da dietro il bancone. Allora, stufo dei venditori che continuavano a propormi nuovi marchi di caffè con strepitose offerte, senza conoscere il loro prodotto, decido di approcciarmi ai primi corsi di caffetteria. Da lì nasce il mio percorso nella cultura e condivisione di questa straodinaria materia prima.
Cosa ti ha portato ad aprire il primo laboratorio sul caffè in Italia? Torneresti mai indietro se potessi?
La mia vita è cambiata drasticamente quando, nel 2012, feci la mia ultima gara nel campionato italiano baristi classificandomi quarto. In quella gara avevo portato un caffè del Panama e a fine gara dal pubblico mi raggiunse una signora che, emozionata dalla mia scelta, mi disse che era la rappresentante del caffè panamense in Italia. Dopo 15 giorni, grazie a quella signora che nemmeno conoscevo bene, presi inconsciamente l’aereo e feci il mio primo viaggio in piantagione. Ero andato alla scoperta di cos’era il caffè vero e di cos’era una drupa. Arrivai perciò a Panama dove restai per 15 giorni, vivendo nella piantagione a raccogliere caffè. Da quel viaggio la mia vita ebbe una svolta incredibile. Tornai a casa con una carica enorme ed ero finalmente cosciente di cosa c’era dietro il caffè. Un tempo, quasi nessun barista aveva visitato e lavorato in una piantagione di caffè e perciò da lì mi venne l’idea di aprire il primo laboratorio italiano di caffetteria. Un luogo che parlasse una sola lingua: qualità e cultura nel mondo del caffè. Correva quindi l’anno 2014, quando aprì il Bugan Coffee Lab. Questo laboratorio è diviso in quattro postazioni. La prima è la caffetteria, dove la gente può provare i vari metodi di preparazione. La seconda è dedicata alla degustazione, dove vi è un tavolo da cupping. La terza è il cuore del locale dove vi è la tostatrice e infine la quarta è l’accademia dove trasmettiamo tutto il nostro amore e la nostra passione ai nostri corsisti. Se dovessi tornare indietro non cambierei nulla. Sono molto orgoglioso e trasmettere il mio sapere è la cosa che più mi rende felice.
Come mai hai scelto il nome Bugan?
Ho scelto il nome Bugan perché sono un grande appassionato di fiori, frutta e ortaggi. Agli inizi del 2000, l’uso del nome di un fiore per i bar era molto gettonato e il mio fiore preferito è la Buganvillea. Perciò ho deciso di chiamare la mia caffetteria Buganvillea Cafè. Tutti i clienti che venivano da me però, dicevano: “Andiamo al Bugan a bere un espresso”. Accorciavano perciò il nome per mezzo di una troncatura e allora abbiamo deciso di chiamare Bugan tutti i nostri locali, tra cui: il panificio, il laboratorio, la torrefazione e la caffetteria.
Come è cambiato il settore dello specialty coffee da quando lo hai conosciuto ad oggi?
Il mondo del caffè specialty è cambiato in modo incredibile. Quando io ho aperto il Bugan Coffee Lab nel 2014 è stato molto difficile, perché far capire la mia visione alle persone non era scontato. La cosa più difficile era far capire che l’acidità potesse essere un pregio, mentre l’amaro del bruciato un difetto. Ora ormai i social ci aiutano a divulgare e adesso i clienti entrano già con un’apertura mentale completamente diversa. Quando si parla di caffè specialty, non ancora tutti sanno di cosa si tratta, ma comunque la parola specialty l’hanno già sentita. Il cliente al giorno d’oggi è curioso e ci mette in una posizione più facile per spiegare e raccontare.
Come vorresti che si evolvesse il mondo del caffè?
A me il mondo del caffè così com’è ora piace un sacco. La crescita e la cultura devono essere un percorso. Io ho 20 anni di esperienza in questo settore; è un tempo molto lungo, ma ho ancora molto da approfondire. A volte ritengo che la mia età può anche essere fonte di un certo tipo di pigrizia, perché magari ci sono temi che mi interessano e li approfondisco, mentre ce ne sono altri che mi dico che affronterò più in là, nel tempo. Voglio vivere un viaggio e la gente deve viverlo con me. È questo che ti porta ad emozionarti, ad amare e ad appassionarti in maniera folle a questo mondo. Per questo non voglio un cambiamento radicale, dev’essere un percorso per tutti.
Come è evoluta la tua comprensione del caffè da barista a giudice SCA?
La mia carriera è evoluta quando mi sono approciato al mondo delle gare. Lì la condivisione con altri baristi mi ha portato ad una crescita incredibile. Infatti sono dell’opinione che un barista si deve approcciare alle gare per vincere, ma anche perché ti porta a scambiare idee, pensieri e innovazioni in questo mondo. Sono arrivato a fare il giudice dopo 15 anni e quindi è stato anche questo un percorso che mi ha completato e mi ha portato a vedere dall’altra parte il mondo delle gare. Ovviamente essere giudice è una grande responsabilità. Cerco ogni volta di essere il più obbiettivo possibile, ma anche soggettivo quando serve. Ci si conosce tutti in questo mondo e il compito di un giudice sta nell'essere corretto di fronte ad una tazza di espresso o di cappuccino. Da giudice hai la responsabilità di far crescere il barista con il tuo giudizio e perciò devi dargli dei consigli costruttivi, per aiutarlo a migliorare e dirgli “bravo!” quando sta andando nella direzione giusta.
Quali cambiamenti hai iniziato a prevedere a causa del Covid19?
Stiamo già pensando a delle modifiche del locale per far sì che ci siano meno assembramenti possibili, ma soprattutto per far sì che ci sia un servizio di take-away, idea che mi piace molto. Stiamo già studiando anche delle innovazioni dal punto di vista dei materiali, perciò probabilmente ognuno porterà la propria tazza. Cercherò di impegnarmi a mantenere il locale ancora più pulito, sebbene lo era già molto prima; ma questo credo che sia alla base di un barista professionista. Quindi in realtà credo che c’è poco da cambiare se uno era già un professionista prima.
Probabilmente cercherò anche di coccolare maggiormente il consumatore finale; spingerò maggiormente il sito online, per evitare il più possibile contatti, fornendo più sicurezza al consumatore e anche a me stesso. Poi credo che quando apriremo, capiremo veramente cosa c’è da fare. Per ora queste sono solo idee.
Sto pensando anche ad un servizio di consegna, on-demand, proprio come i nostri macinacaffè. Mi piacerebbe andare sotto casa, in giro per le strade a eseguire e trasmettere la mia passione.
Maurizio Valli con una Marzocco Leva nel suo Coffee Lab a Bergamo
Nel tuo Coffee Lab hai una Marzocco Leva. Cosa ti ha portato a sceglierla? Quali sono i principali vantaggi che hai riscontrato?
Io sono un grande amante delle macchine a leva e la ritengo una macchina sensazionale. Ogni estrazione ha delle potenzialità di modifiche di pressione di preinfusione, pressione di estrazione, temperatura dell’acqua, portata dell’acqua, … Ci sono un’infinità di giochi che si possono fare e quindi è una macchina che ha già di suo un potenziale incredibile.
Mi sono innamorato perché è una macchina che ti mette in difficoltà e dove c’è difficoltà io impazzisco dalla gioia. Mi dà la possibilità di potermi migliorare sempre di più. Mi fa capire che cambiando un semplice parametro da un’estrazione all’altra, cambiano completamente anche gli espressi che vado a preparare e questo fa comprendere come è vasto il mondo del caffè.
Inoltre mi da concretezza per quanto riguarda la qualità della materia prima. Mi permette dunque di mettere in evidenza le diversità, rispecchia la naturalità della materia prima. Ecco perché sono un amante della leva.
La amo anche perché mi va ad esaltare gli aromi. Io amo gli aromi, anche se a volte possono andare a sacrificare la corposità, ma per me la corposità non è un indice di qualità, non è qualcosa che vado a ricercare per forza. A volte c’è la corposità e a volte no. Credo che sia un po’ come nel mondo del vino; ci sono vini più strutturati e vino meno strutturati. Prendiamo l’esempio del Pinot Nero e l’Amarone; due vitigni completamente diversi. L’Amarone è strutturato, mentre il Pinot Nero no, ma ha delle sfumature incredibili. La leva ti permette di percepire diversamente i caffè, in maniera più evidente rispetto a macchine che funzionano in altro modo. Quindi per me la leva significa diversità, sentire le differenze, oltre che dalla nazione, anche dalla varietà botanica stessa.
Se potessi migliorare o aggiungere qualcosa alla Marzocco Leva, cosa sarebbe?
Sicuramente il prezzo; 23'000 euro sono tanti e ovviamente è abbastanza proibitiva. A parte gli scherzi, non lo so cosa migliorerei, è già perfetta di suo. Non la consiglio ad un locale che fa quantità, ma ad un locale che fa qualità io la metterei sempre. Per ora è la macchina che amo di più; di cui mi sono innamorato e per ora non trovo un’altra macchina all’altezza. Mi sto addirittura comprando la Leva ad un gruppo e ho già proposto di fare la versione Modbar Leva. Spero che sia un esperimento che Marzocco voglia fare perché sarebbe qualcosa di incredibile. Io le macchine da espresso le chiamo casse da morto, perché coprono la visuale dell’estrazione; invece con la Modbar si può vedere quello che il barista sta facedo. Wow!
Un grande saluto a tutti, Maurizio.
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